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Assordante, inquietante, forte. Più forte di queste parole, inutili, a 31 anni di distanza. Per commemorare un dramma, una strage, la morte di 39 tifosi juventini in quella maledetta curva Z dell’Heysel. Morire andando a vedere una finale di Champions. “Papà, andiamo a Bruxelles, che vuoi che ci succeda?” disse uno dei bambini morti lì, tra quei gradoni diventati tomba. Lo raccontarono i giornali, tanto da far stringere il cuore. Da chiedersi il senso di una notte maledetta nella quale trovarono la morte 39 tifosi, andati in Belgio a vedere Juventus-Liverpool. E s’è parlato a lungo anche dell’inefficiente controllo belga, dell’ordine pubblico, degli Hooligans, degli assassini. Di Juventus e Liverpool, per fortuna, se n’è parlato meno. Scrivere, parlare, rivivere per non dimenticare. Affinché non avvenga mai più.

Camminare oggi all’Heysel vuol dire ascoltare il silenzio. Il silenzio di un luogo che in quella notte maledetta era affollato, urlava dolore e paura. Oggi non urla. L’Heysel è nascosto nelle periferie di Bruxelles, tra una zona residenziale e una zona verde. Viene indicato sulle cartine della città, ma non è il luogo della memoria. Il Belgio ha sbagliato di nuovo: non vuole ricordare. Vuole dimenticare l’onta di una responsabilità troppo grande, di una vergogna. L’Heysel giace in una zona silenziosa, persino troppo. Camminare oggi all’Heysel vuol dire avere i brividi, ricordare, da soli.

Camminare all’Heysel oggi vuol dire brividi. Impotenza. Una targa e poco altro. 39 nomi, che un giorno furono vite spezzate. Non c’è una sciarpa. Non è il monumento a Superga. E questo, forse, quei 39 nomi lo avrebbero meritato. Avrebbero meritato qualcosa in più di una targa. Anche le tragedie vanno ricordate, ma in Belgio sembra che non vada di moda. Camminare oggi all’Heysel è l’esperienza che ogni tifoso della Juventus almeno una volta nella vita dovrebbe fare. Per ascoltare quel silenzio, assordante, che urla un dolore che non passerà mai.

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