In foto: Eder (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images Europe)

Tra i tanti argomenti di discussione all’indomani dell’ufficializzazione delle convocazioni di Antonio Conte, la discussione nata dopo la chiamata di Eder fu tra quelli che ebbe più proseliti arrivando, per intenderci, ai livelli di scalpore suscitato dalla scelta di affidare la maglia numero dieci a Thiago Motta. Effettivamente convocare un giocatore in evidente affanno fisico, con un minutaggio pari a sole otto partite giocate dal primo all’ultimo minuto (745 minuti) e che nell’ultima parte della stagione ha manifestato gravi difficoltà nel centrare la porta, come testimonia l’unica rete segnata dopo il suo arrivo all’Inter, sarebbero stati difficile per chiunque. In molti qualche settimana fa gridarono allo scandalo, dubbiosi del fatto che Conte avesse deciso di chiamarlo più per gratitudine piuttosto che spinto da vera necessità tattica. Eppure dati alla mano e la partita di oggi ne è conferma, l’attaccante italo-brasiliano è uno degli uomini chiave di Antonio Conte. E lo dimostra il fatto per cui Conte abbia deciso di confermarlo nonostante l’ingresso di Ciro Immobile nella partita inaugurale contro il Belgio avesse deciso la partita.

Ma perché Eder per il commissario tecnico della Nazionale è un giocatore imprescindibile? Innanzitutto scordiamoci di Eder come attaccante puro. Per Conte avere in campo l’interista significa poter disporre di un giocatore dotato di fiato e in grado di mettere la tipica “pezza” in qualsiasi zona del campo. E la prova di quanto diciamo è data dall’analisi delle heatmap delle due partite della Nazionale. La zona del rettangolo verde in cui Eder è stato più presente è quella centrale, cioè quella circostante al cerchio di metà campo. Ciò dimostra come per Conte, Eder valga come una sorta di Gattuso un tantino più duttile e nelle peggiori delle ipotesi in grado di spezzare il gioco avversario con falli tattici tanto orribili, quanto fondamentali. Basti pensare all’ammonizione guadagnata contro il Belgio, quando con un fallo su Mertens, interruppe un’azione che poteva diventare micidiale per il risultato finale. In altre parole, Eder è quello a cui Conte affida il gioco sporco.

Nonostante ciò, oggi Eder rappresenta una rilevante fonte di palloni per la fase offensiva della Nazionale, che uniti a quelli di Candreva rappresentano comunque un buon punto di partenza. Senza dimenticare quel minimo di qualità offensive che non si possono non riconoscergli e passate inspiegabilmente in secondo piano dopo l’amara parentesi all’Inter. Del resto il gol siglato contro la Svezia ne è una prova. Uno dei colpi di classe dell’italiano consiste proprio nel ricevere palla mentre gioca largo, accentrarsi verso l’area di rigore e trafiggere il portiere con un tiro a giro, siglando quello che potremmo definire il classico gol da Play Station.

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E mentre Eder si gusta il proprio quarto d’ora di celebrità, per dirla alla Andy Warhol, l’Italia passa il turno e dimostra, come se ce ne fosse stato bisogno, che nei momenti in cui serve c’è eccome, vestendo i panni di una Nazionale brutta, sporca e cattiva che da oggi pensa in grande.