Foto: ANSA/LUCA ZENNARO (Corriere dello Sport)

Chi lo conosce lo descrive come un tipo meticoloso e attento al suo lavoro. Molte esperienza, fortunate e non che, tuttavia, non hanno scalfito le certezze di un tecnico che sa il fatto suo, capace di mettersi in gioco sempre, anche in determinati momenti della carriera. Angelo Gregucci è questo: impegno, tattica, grida dalla panchina e salti di gioia con i suoi calciatori. Oggi allena l’Alessandria, squadra di Lega Pro che lotta per la promozione in Serie B e, soprattutto, compagine protagonista della favola in Coppa Italia. Ma su questa storia ci torneremo più tardi. Adesso concentriamoci sul trainer classe ’64, autore di un grandissimo lavoro.

Quella di Angelo Gregucci non è la classica storia del ragazzino del Sud, bravo con i pallone tra i piedi e che approda immediatamente nel calcio che conta. La carriera calcistica dell’attuale allenatore dei piemontesi è ricca di sudore e fatica, proprio come gli uomini di una volta, impegnati nei campi fino a tarda sera per non far mancare niente alla propria famiglia. Cresciuto calcisticamente nel Taranto in C1, dopo tre presenze con la maglia rossoblu, decide di salutare la Puglia per approdare, guarda caso, all’Alessandria. Ben quattro stagioni, dal 1982 al 1986, caratterizzate da 114 presenze e 8 gol, non poche per un difensore che sapeva abbinare la tecnica alla voglia di “sbranare” l’erba del campo da gioco. La categoria? La sana e vecchia C2, categoria capace di far crescere i calciatori sotto tutti i profili. Nel 1986, però, arriva la grande chiamata, quella che non si può rifiutare. C’è la Lazio nella testa, ma non solo, di Gregucci, che si cala perfettamente nella difficile realtà capitolina. Sette lunghe stagioni, condite da 12 gol in 187 apparizioni. Anche a Roma, sponda biancoceleste, il difensore dal fisico asciutto e dai capelli stile “british” si fece conoscere, entrando nel cuore del popolo laziale. Nel 1993, tuttavia, si trasferì al Torino, prima di concludere la sua carriera calcistica tra le fila della Reggiana.

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Era il 1998, così, quando Gregucci appese gli scarpini al chiodo, vestendo i panni di allenatore. Tanto dispiacere, qualche lacrima, ma poi fine, anche perché iniziava una seconda vita, questa volta in panchina. Alla Reggiana, dunque, affianca Fabiano Speggiorin, prima dell’esperienza alla Viterbese. Successivamente Fiorentina, Legnano, Venezia, Salernitana, Lecce, Vicenza, Atalanta, Sassuolo e Reggina per concludere la prima parte della sua carriera italiana di allenatore.

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«Noi dovremo lottare fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata».

Nel 2012, infatti, vola da Roberto Mancini al Manchester City. Diventa collaboratore tecnico del “Mancio”, con la quale va vicino a vincere una Premier League. Un anno dopo l’esperienza inglese, terminata dopo l’addio di Mancini, Gregucci riparte dalla Lega Pro: prima Salernitana e poi Casertana, tanto da ricordare che “si riparte sempre dalle umili categorie”. In Campania, però, non andò bene e, dunque, via in Inghilterra, precisamente al Leyton Orient, dove affianca Fabio Liverani in qualità di collaboratore. Una breve esperienza, prima di tornare nuovamente ad Alessandria. Un progetto solido, che piace a un uomo dalla U maiuscola come Gregucci.

«Rispetto, lealtà e merito: queste le doti per gestire un gruppo. Voglio una squadra guerriera. I sistemi e i moduli non vincono…vincono gli stimoli e l’atteggiamento. Ho marcato Van Basten, ma sono partito dal Moccagatta. La gente del Mocca deve riconoscere questo spirito».

Stasera affronta il Milan, nella prima semifinale della Coppa Italia dei “grandi”, per una sfida difficile e affascinante. Ma, dopo aver battuto nell’ordine, Alto Vicentino, Pro Vercelli, Juve Stabia, Palermo, Genoa e Spezia, i “grigi” vogliono stupire e giocarsi tutto fino all’ultimo secondo, incarnando alla perfezione il carattere di mister Gregucci, soprannominato “la piovra” per la sua voglia di non mollare mai su ogni pallone.

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