Aveva rimesso la chiesa al centro del villaggio, poco più di due anni fa. Quel derby vinto, rivincita della finale di Coppa Italia persa qualche mese prima, l’aveva issato a idolo e salvatore della patria giallorossa. Niente di più antitetico a quello che rappresenta oggi, a Roma, Rudi Garcia. Il tecnico francese, ventiquattro mesi dopo, è indicato da tutti i tifosi della squadra capitolina quale principale colpevole di una crisi d’identità che sta erodendo sempre più il giocattolo di James Pallotta. Tre le grandi colpe che concorrono a fare dell’ex allenatore del Lille il vero, grande problema della Roma: la totale assenza di un gioco, i ripetuti errori nelle scelte di formazione e l’autorevolezza che, agli occhi della squadra, sembra essersi dissolta nel vuoto.

IL GIOCO, QUESTO SCONOSCIUTO – Solo un ricordo il gioco in velocità che aveva fatto del primo anno e mezzo di gestione Garcia una vera e propria giostra di emozioni e gol. Le trame offensive che misero in crisi quasi tutte le avversarie in campionato, il Cska Mosca e il Manchester City hanno lasciato il campo a una squadra impacciata, che contro le difese schierate non sa mai come comportarsi. Palla agli esterni offensivi e si va d’improvvisazione. L’involuzione della Roma passa anche, per esempio, da quella di Gervinho e dal suo modo di attaccare, divenuto alla lunga prevedibile. Chi gioca contro la Roma ha quasi sempre pronte le contromosse per arginare gli attacchi giallorossi: il risultato è tanto possesso palla, ma pochi gol. Imperdonabile, dato il roster su cui può contare il francese nel reparto d’attacco, soprattutto quest’anno.

FORMAZIONI E GESTIONE DEL TURNOVER SBALLATE – Una rosa abbondante, quella della Roma quest’anno, certo. Ma ciò non giustifica una turnover massiccio come quello attuato da Garcia in occasione di Roma-Sassuolo. Sei cambi di formazione: troppi, anche considerando lo stato di forma della squadra di Di Francesco. Risultato, un pareggio in rimonta che non ha alimentato la speranza di successo dei tifosi giallorossi. Peraltro, se Garcia dimostra di fare affidamento sulle riserve in difesa e in attacco, lo stesso non si può dire per quanto concerne il centrocampo: Ucan e, fino a una settimana fa, Vainqueur, sembrano oggetti misteriosi. Il turco in particolare, su cui grande è stato l’investimento della società, non sembra mai essere realmente entrato nelle grazie dell’allenatore, che lo ha impiegato pochissimo fin dal suo arrivo in Italia. L’invenzione di Florenzi terzino, poi, inizia ad assumere più i contorni della rinuncia a un ottimo esterno offensivo che di un beneficio per giocatore e squadra. Insomma, troppe idee confuse, troppi giocatori fuori ruolo.

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HA IL POLSO DELLA SITUAZIONE? – Durante la sfida contro la Sampdoria, poi persa, Garcia ha chiesto spesso di seguire alcuni schemi sui corner che i suoi calciatori non hanno mai eseguito. Spifferi provenienti dalle stanze di Trigoria, inoltre, raccontano di uno spogliatoio che avrebbe mal digerito, negli ultimi mesi, il trattamento di favore che il tecnico ha riservato a Gervinho, suo pupillo dai tempi del Lille. Anche l’insubordinazione di Iturbe, sostituito al 50′ in occasione della gara casalinga contro il Sassuolo, la dice lunga su quanto vacilli il ruolo di leadership dell’allenatore.

HA SENSO CONTINUARE? – La gara di ieri sera contro il Bate Borisov ha sottolineato ancora una volta i limiti della Roma, figli di una gestione probabilmente non all’altezza del tecnico francese. È vero che la Roma è arrivata per due anni seconda dietro una grande Juventus, ma è anche vero che su 20 partite giocate in Champions tra Lille e giallorossi Garcia ne ha vinte solo 3. Sintomo, questo, di una dimensione probabilmente lontana da quella a cui aspira la società capitolina. E mentre l’involuzione degli ultimi mesi non sembra arrivare ad una fine, il popolo giallorosso si chiede se abbia davvero senso aspettare nuove batoste e rischiare magari di rinunciare a vincere il campionato prima di salutare per sempre Rudi Garcia.