Leggi il nome Arrigo Sacchi e subito pensi a quell’uomo che, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, vinse tutto alla guida del Milan targato Berlusconi e di certo mai ci si aspetterebbe di dover fare i conti con un ipotetico tuttologo, costantemente impegnato a giudicare il giudicabile, a volte prendendoci, a volte esagerando. Ma che piaccia o no, l’Arrigo di oggi è effettivamente questo. Un signore di sessantanove anni che bazzica nei salotti della tv e tendenzialmente pessimista su tutto quello che decida di giudicare, avvicinandosi sempre più all’idea di “vecchietto” brontolone, un po’ stereotipata, da sempre diffusa tra i giovani di tutte le generazioni.

Ieri il buon Arrigo ha parlato ancora e ancora una volta ci è andato giù pesante. Bersaglio del Vate di Fusignano è niente meno che la Juventus di Massimiliano Allegri, al cui proposito ha dichiarato “anche il Rosenborg vince sempre lo scudetto in Norvegia. Ma cosa conta è la Champions League e in Europa la Juventus fatica” aggiungendoci un “Allegri, non basta vincere” ed un “Conte è un fenomeno”. L’ennesimo abbaglio. Forse la scorsa stagione fu il Rosenborg a sfidare il Barcellona in finale di Champions League? Forse Sacchi dimentica il 2-2 da cui la Juventus partirà nella sfida della prossima settimana contro il Bayern Monaco?

Ma questo è solo l’ultimo dei molteplici attacchi riservati alle amate, o meglio, odiate squadre italiane. Come dimenticare la critica fervente all’Inter di Mourinho e quel “diede poco o nulla al calcio italiano”, al Napoli che “non ha una mentalità vincente”, alla Roma di Spalletti “senza movimenti di squadra”, a Mancini e al “calcio antico” che “va bene solo in Italia”, o addirittura alla fantomatica offesa al calcio italiano causata dall’eccessiva presenza di giocatori di colore.

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Ma questi attacchi oramai, e lo scriviamo con un certo rammarico, sorprendono ben poco. Col passare degli anni Arrigo Sacchi è diventato sempre più l’emblema di chi, convinto di sé stesso, non fa altro che sminuire i successi degli altri. Una sorta di Mourinho in salsa italiana…

Al massimo ciò che sorprende di Sacchi è come al centro delle sue frecciate non figuri mai il suo Milan, un Milan che da anni naviga all’interno di un grande punto di domanda e che anche quest’anno rischia di veder sfumare l’obiettivo Europa. Quasi mostrasse un occhio di riguardo nei confronti del vecchio diavolo, perché in fin dei conti il vero amore non si scorda mai. Ma inoltre, qual è la differenza tra Allegri e Conte? Cosa rende un allenatore per anni eliminato in Europa tra fasi a girone ed ottavi un “fenomeno” ed uno che in due anni ha giocato una finale di Champions e che si appresta a giocarsi la qualificazione contro il Bayern, uno che si accontenta di vincere?

L’impressione è che Sacchi tenda a muoversi tra la fazione degli amici e quella dei non amici (e dunque criticabili), rischiando di capitolare in un vicolo cieco. Ciò che crediamo è che la regola del “bisognerebbe saper smettere” valga proprio per tutti, allenatori di successo inclusi.