Che ne sa Gabrielli di Volk alla Rondinella, che ne sa di Silvio Piola con quattro grappette su una ferita suturata in testa che segna una doppietta, che ne sa lui dei 12 goal di Da Costa, e del dito di Chinaglia rivolto verso la Sud. Che ne sa Gabrielli di Bruno Giordano e Bruno Conti, che ne sa di Voeller e Ruben Sosa, che ne sa lui dei 4 derby vinti in una sola stagione o della corsa liberatoria di Mazzone. Che ne sa Gabrielli dell’autogoal di Negro, che ne sa di Gascoigne all’88esimo, di Castroman al 95esimo, che ne sa lui di Delvecchio, del 5-1 con poker di Montella, e di Di Canio che esulta sotto la Sud sedici anni dopo. Che ne sa Gabrielli di Totti con la maglia “Vi ho purgato ancora”, che ne sa lui di Di Bartolomei, del trenino di Protti e di Behrami e Klose all’ultimo secondo.

Che ne sa Gabrielli del selfie di Totti e di Lulic al 71esimo, ma soprattutto che ne sa lui di chi rende tutto questo speciale e diverso da qualsiasi altra cosa? Cosa ne sa Gabrielli degli sfottò sugli spalti, delle coreografie da brividi, dei preparativi, dell’ansia che sale ogni giorno che il derby si avvicina. Che ne sa Gabrielli delle emozioni, della gioia per un goal, di un padre di famiglia che porta il figlio per la prima volta allo stadio. Probabilmente nulla, perché altrimenti non avrebbe tolto al calcio, una delle meraviglie più belle e degli spettacoli più emozionanti che Roma può offrire al mondo, al pari del suo patrimonio artistico. Una barriera nel bel mezzo di una Curva, per dividere chissà che cosa. E allora inizia il conto alla rovescia, poche ore e sarà derby, o meglio, sarà Roma-Lazio, anche se questa volta nessuno lo ricorderà per una giocata di Felipe Anderson o per un goal di Dzeko, ma solo perché i seggiolini dell’Olimpico saranno quasi completamente vuoti.

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