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Hernan Molinari è nato a La Plata, in Argentina. Guardava il calcio italiano in tv, la domenica mattina. Storia di un SudAmerica che tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 era più Sud che America. Aveva 19 anni quando il sistema economico argentino implose. Ne aveva 21 quando decise di provare il grande salto, per venire a giocare a calcio in Italia. Era stato vicinissimo a un contratto con l’Estudiantes, la squadra del cuore. Poi le cose non sono andate come sarebbero dovute andare, ha avuto proposte dalla seconda divisione argentina, ma ha preferito fare le valigie. “Era un momento nel quale l’Argentina era in default e riuscire a vedere lo stipendio giocando lì sarebbe stato quasi impossibile”. Arrivò a Fiumicino in Estate, il 23 Agosto 2003. Aveva un accordo verbale, che il club che lo fece venire in Italia non rispettò. Ad accoglierlo all’aeroporto non c’era nessuno. Ha giocato nel Guspini, per iniziare. Prima esperienza italiana: 11 gol in 18 partite, nell’eccellenza sarda. Poi tanta eccellenza, eccellendo. Facendo quello che sa fare meglio: il gol. Attaccante di razza, ricorda nelle movenze e nell’aspetto Gonzalo Higuain. È l’Higuain del calcio dilettantistico italiano. Ma la vita è un’altra. Hernan ha rifiutato il calcio professionistico: “Si guadagna di più giocando in Serie D che in Lega Pro, almeno in Italia. Ho rifiutato offerte di Serie C quando giocavo in Eccellenza, perché mi offrivano la metà di quanto già prendevo. Non l’ho mai fatto per egoismo, ho sempre aiutato la mia famiglia, in Argentina. Lì è più dura la vita e lo rifarei mille volte”. E lì ritornerà quando finirà di fare decine e decine di gol nella provincia del belpaese: “Quando smetterò tornerò in Argentina ma spero che sia io a lasciare il calcio e non il calcio a lasciare me. Andrò avanti finché potrò, poi si vedrà. So che dovrò tornare a lavorare ma ho fatto per 20 anni una vita bellissima, diversa da quella di chi si alza presto al mattino per andare a lavorare. So di essere stato fortunato a fare questo lavoro”.

Taranto mi è rimasta nel cuore. Sembrava di giocare a casa mia

Il gol ce l’ha nel sangue, vede la porta come pochi altri. Avrebbe meritato palcoscenici migliori ma non vuole sentirselo dire. Ha sulla pelle e nel cuore l’Estudiantes (“Appena torno a casa vado in curva a vedere la mia squadra del cuore”), sognava il calcio italiano (“Da sempre avrei voluto giocare in Italia. Sognavo San Siro e l’Olimpico, ma io il mio sogno l’ho realizzato giocando in Italia”) ed è ancora convinto che sia il calcio più bello del mondo. Gioca nel Jolly Montemurlo, vive in un paesino della Toscana, ma ha fatto innamorare la Puglia. Ha giocato nel Brindisi, continuando a segnare anche quando la società di fatto non esisteva più (e infatti sarebbe fallita qualche mese dopo), e ha fatto innamorare Taranto. Ha trovato nel profondo Sud lo stesso calore della sua Argentina: “Quando giocavo a Taranto o a Brindisi, in quelle piazze così calde, sembrava di giocare da noi. A casa mia”. Taranto si innamorò, lui si innamorò di Taranto: “Mi è rimasta nel cuore. Dopo l’Estudiantes per me è stato il massimo. È una città che con la Serie D non c’entra assolutamente niente”.

L’amore nel calcio è come quello nella vita: è uno solo

È un ragazzo tranquillo, è sposato e a breve diventerà padre. Ha la testa sulle spalle, crede nella famiglia e prima o poi tornerà a casa. In Argentina. Ci dà la dimensione del calcio, quello vero. Quello di provincia, quello dei 200 tifosi a Montemurlo e quello dei 10.000 che acclamavano il suo nome dopo un gol a Taranto contro il Matera in una partita che sarebbe potuta valere un campionato. Va in doppia cifra praticamente sempre e nelle ultime due stagioni ha realizzato oltre 42 gol. Un attaccante così è difficile da trovare anche in Serie D. Gli brillano gli occhi quando parla del suo calcio, non ha malinconia nel rivivere la propria carriera. E quando gli chiedo se tifa qualche squadra in Italia mi risponde che “Non è possibile, l’amore nel calcio è come quello nella vita. È uno solo. Sono nato tifoso dell’Estudiantes e così morirò”. Chapeau, a un grande attaccante rimasto in provincia per scelta. Al bomber di La Plata che ha fatto innamorare il calcio italiano di provincia.

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