In fondo non c’era nemmeno bisogno che lo dicesse Felipe Melo che il calcio non è uno sport per signorine, come si usava dire qualche tempo fa. Oggi si dice che è uno sport “di contatto”, e che chi non gradisce il contatto dovrebbe passare al tennis. Sport nobile, ma dal contesto culturale diverso da quello di un campo di calcio. E di un campo di calcio in Italia, a maggior ragione.

Felipe Melo lo sa bene che il calcio è uno sport di contatto. Ma la verità è banale, come spesso accade. Lui – invece – è rinato, in un contesto nuovo: l’Inter di Mancini che non brilla per trame di gioco e spettacolarità. Ma vince – almeno per ora – sempre. Felipe Melo può essere l’arma in più di una squadra costruita – questa volta – con intelligenza e criterio, e con la mano, fondamentale, dell’allenatore anche sul mercato. Anche Melo è stata un’idea di Roberto Mancini: lo ha avuto al Galatasaray, gli è piaciuto, lo ha trovato un’idea interessante per lo spogliatoio e per il campo. Thohir ha fatto il sacrificio – ma nemmeno tanto – economico.

Lui ripaga come sa fare: botte a metà campo, da duro quale vuol mostrarsi, e giocate semplici. Che Felipe Melo in fondo è questo. Un calciatore ‘semplice’, di un calcio che forse a certi livelli non esiste più. Un po’ troppo duro in alcuni interventi, ma non una testa calda. Ha visto il calcio turco, ma ha preferito tornare in Italia. Dove era già stato: una stagione straordinaria alla Fiorentina, nella quale sembrava addirittura un calciatore capace di fare la differenza a metà campo. Un centrocampista moderno, completo. Poi la Juve: il peso di 25 milioni di Euro, qualche istantanea. Il cambio al 36′ di un Juve-Catania nel quale gli etnei vincevano all’Olimpico di Torino; i litigi con i tifosi; il gol all’esordio a Roma, scintilla mai divampata in incendio. Oggi per Melo c’è l’Inter. Le solite legnate, e quei comportamenti da pallone, più che da calcio. Ma in fondo è amato per questo. Per avere l’abilità di rivelare verità già banali.

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