Our way o no way. Il terremoto è fissato alle ore 9.00, circa. Mi sveglio e so di essere a Torino ma dal mio letto ci vedo poco e devo aprire la porta d’entrata per ritrovarmi davanti ad una gigantografia di Paul Pogba che mi guarda in cagnesco, con l’Adidas che ci scrive in testa la frase di sopra. Ho dormito tutta la notte in camper davanti allo Juventus Stadium, sai che roba.

Anche stamattina siamo baciati dal sole e, dopo aver raccolto le nostre cose, ci spostiamo dall’altra metà calcistica di Torino. A pochi metri da Piazzale Grande Torino, all’ombra dello Stadio Olimpico, un comitato di accoglienza tutto per noi e sappiamo tutti che oggi faremo qualcosa di memorabile. L’appuntamento nella città della Mole ci vede deficitari fisicamente ma l’entusiasmo palpabile dei nostri amici è un toccasana per l’animo, in meno di un’ora siamo già in giro per il centro. Circa un anno fa, qui a Torino, si incontravano Michele, Antonio e Samuel, tre sconosciuti che si davano appuntamento in un bar per provare a fare qualcosa, sistemare due porte, dare qualche calcio a un pallone. Abbiamo seguito il dipanarsi l’evolversi della nostra nemesi calcistica torinese con distacco, non avremmo mai potuto immaginare che un giorno avremmo raccolto quanto seminato, trovandoci qui a dover giocare. E questo è il primo colpo.

Il secondo arriva a pranzo. Ecco, una particolare equazione matematica dice che il cibo che mangiamo ogni giorno sta aumentando proporzionalmente ai chilometri percorsi perché le persone a pranzo si moltiplicano e noi stiamo evolvendoci in piccole pallottole rotolanti. Ma siamo tanti, siamo troppi già a pranzo, qualcuno di noi si sposta in Piazza alle 15 per accogliere i pochi arrivati. Richieste d’aiuto dall’Olimpico, qualcuno parla di più di trenta persone ma nessuno ci crede, sembra Fantozzi che segue una partita dei Mondiali al cinema, non è possibile, pensiamo io e Francesco, mentre ci incamminiamo parlando di calcio e libri, a noi manca anche un giocatore, ma ti immagini che, cioè saranno una ventina, questa mania di gonfiare le cifre manco fossimo la campagna abbonamenti del Milan, non è possibile che ci sono ventidue squadre e che siamo un esercito.

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Questo diario purtroppo deve fare a meno del mio racconto del torneo. Sotto il profilo prettamente calcistico la mia squadra, il Deportivo Vecchiaia, mette a referto quattro partite giocate, quindici gol subiti, cinque fatti, zero punti. In squadra io, un mio concittadino con cui non ho mai scambiato una parola prima d’oggi, un amico conosciuto svariati anni fa su internet. Oggi è il festival dell’amicizia, siamo una banda scatenata ed è impossibile provare a raccontare l’atmosfera che si avvertiva. I sentimenti non sono partite di calcio. Non puoi fargi la disamina tecnica, l’attenta analisi col maxischermo, non puoi scattargli una foto, il Fiffa di Torino (non posso continuare a scrivere perché Alessio continua a ripetere ‘”cessa a pedali” e mi viene il singhiozzo), dico il Fiffa di Torino è stato come un film col gran finale, con una gran finale dove dei torinesi giocavano con le divise dell’US Lecce e tutti gli italiani tifavano per gli spagnoli.

Capitemi, io sono in difficoltà, questa storia non ha senso. Le persone entrano ed escono dai campi ridendo, si battono le mani, i giocatori si abbracciano e Michele ha spiegato le regole ai novellini con tanta emozione in corpo, Torino è una città fantastica. A fine torneo siamo lì, siamo i migranti in rotta verso un camper, verso casa, tutti voglion portare qualcosa, una porta, una sedia, dilatare all’infinito il tempo che ci separa dal momento dei saluti. E’ soddisfazione quella che ci scorre nelle vene. Una traversata di mille chilometri che ha unito pezzi di mondo che rincorrono un pallone. Non è un caso. Chi si affida al caso non ha nulla in cui credere, noi crediamo di esserci guadagnati tutto questo, tutti insieme, potessimo vivere di giornate come questa allora saremmo ogni giorno in viaggio, in un Tour perenne.

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Grazie Torino.
Ho fatto la doccia in casa di Nicola Modugno, la prima doccia di casa Modugno.
Ho corso quasi tutto il giorno, ho camminato in via Alessandria alle 20 di sera con le infradito chiedeno dove fosse il mare e non ero solo.
Ho ascoltato un uomo di 86 anni raccontarmi del Grande Torino, ho visto Antonio, Michele, Samuel, Quirino, Lucia, Carmen, tutti i ragazzi che qui ci vivono, spaccarsi in quattro per questo torneo.
Ho mangiato la pizza, ho visto degli scoiattoli, ho abbracciato tre sconosciuti spagnoli ed hopregato Dio che tutto questo possa non finire mai.

Ma non sono ancora stanco, siamo tutti al giro di boa.

A cura di Massimiliano Chirico