Lo chiamavano il piccolo grasso Müller. Non è un gigante, Gerd, ma ha segnato così tanto da vincere il titolo di capocannoniere sia di un europeo che di un mondiale. Con quei 176 cm che gli permettevano comunque uno stacco di testa invidiato anche da chi aveva 10 cm in più. Ma era il “piccolo grasso” che in tedesco si dice “Kleines dickes”. Oggi ha l’Alzheimer, è in cura in una clinica. E il mondo del calcio in questa giornata autunnale è scosso: vede una malattia mettere alle corde uno dei calciatori più forti di sempre.

Müller ha segnato come nessun’altro, o quasi. Il fiuto del gol ce l’aveva nel sangue. Ha segnato in una finale mondiale, nella “sua” Monaco di Baviera, impazzita di gioia dopo la vittoria contro l’Olanda. Quel tiro è nella mente, e nel cuore, di una generazione che ha vissuto in una Germania divisa, che ha dovuto ricostruire un paese ritenuto responsabile di due guerre mondiali, che ha dovuto rimettere insieme i cocci di una nazione. Quel gol, quella vittoria contro l’Olanda sono la foto di quel mondiale del 1974. Di quel gioco nel quale si gioca 90 minuti, ma poi vincono i tedeschi. E magari segna Müller.

Ha giocato nel Bayern quando la squadra bavarese era in Serie B. Che oggi ci sembra difficile anche da credere, ma è successo. La Bundesliga fu il sunto di cinque “oberligen”: fu creata così. Il Bayern avrebbe avuto il diritto di giocarci, ma la federazione non ammise al momento della creazione più di una squadra per città. E in quel momento, ma solo in quel momento, il Monaco 1860 era la squadra di punta della città che vive delle esagerazioni della birra e dei colori dell’Oktoberfest. Il Bayern in quel campionato di seconda divisione giocò con Müller, Beckenbauer e Maier: colonne portanti della squadra che in seguito vincerà tutto, farà tremare l’Europa ed esporterà il primo modello tedesco di calcio.

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Le immagini scivolano nella mente di chi nel ’74 era a Monaco. Di chi ha visto Müller alzare il pallone d’oro qualche anno prima, segnare nella finale dell’Europeo del ’72 e arrendersi all’Italia nel 4-3 di Messico ’70. Perché Müller è uno dei manifesti viventi di un calcio che oggi è un VHS da conservare, un momento di nostalgia da custodire. Come quei gol. Ma, mi perdonino i medici, io non credo che Müller si sia dimenticato anche come si fa gol. Non è per questo mondo.