Può davvero un “Finocchio!” divenire un caso Nazionale? Se fosse così dubiterei dell’intelligenza di Mancini ma soprattutto di quella di noi italiani, visto che siamo un Paese che ancora stenta a garantire pari diritti agli omosessuali, a riconoscere il matrimonio tra due persone dello stesso sesso, a permettere loro di adottare dei bambini. Dunque no, “Finocchio!” deve necessariamente rimanere sul campo, come i tanti “coglione!”, “figlio di p…”, e perché no anche “vecchio cazzone!” che si sentono in giro, ovunque.

Roberto Mancini ha voluto dare una lezione di stile ma ha finito per fare la figura del “piangina”. E la coerenza dove la mettiamo? L’interista ha da sempre un punto debole per i diverbi, ricordiamo le sue liti con Boskov da giocatore, quella con il tecnico dell’Everton Moyes (nella tanto amata terra inglese), il “fuck your mother!” rifilato a Tevez ai tempi del Manchester City, quel “negro di merda” pronunciato da Mihajlovic all’indirizzo di Vieira in un Lazio-Arsenal e prontamente giustificato dall’agonismo esasperato, dalla tensione della gara, dal nervosismo che viene a crearsi sul terreno di gioco. Citiamo allora le testuali parole del Mancio: “l’importante è che tutto finisca lì!”. Invece no, si fa in fretta a passare dall’altra parte della barricata, a denunciare pubblicamente un “Finocchio!”. Ma l’allenatore nerazzurro è una persona intelligente, molto furba. Ha voluto rovinare il magnifico campionato del Napoli, l’immagine candida di Sarri, spostare l’attenzione dal campo alle chiacchiere da bar, mettere ulteriore pressione ad una piazza che ne ha già fin troppa.

A questo tipo di sfottò, ribadiamo, si risponde sul campo, come ha fatto l’Inter ieri sera, l’unica squadra fin qui in grado di mettere in difficoltà il Napoli tra campionato e coppa, come Balotelli che risponde a suon di gol agli scontati “negro di merda”, come Insigne ai “lavali col fuoco”, come Cutolo al “ti amo terrone” di Mandorlini. Non è un problema di provincia, il calcio è anche questo. Si può cambiare? Certamente, ma non facendo leva sul finto perbenismo, non trasformando in poche ore Sarri dal filosofo del pallone, dal professionista con la tuta, dall’allenatore della “gavetta”, dall’uomo di provincia meritevole che dopo “enormi sacrifici” riesce a sbarcare il lunario, nel provinciale rozzo, inesperto, ignorante e razzista.

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