Fonte: Uefa.com

Sulle sponde del fiume Guadalquivir sorge la città di Siviglia, divisa, incerta come la sua terra, sempre in bilico tra il mondo occidentale e quello arabo.
La sponda biancoverde della città porta il nome latino di quel fiume, Baetis, ora chiamato Betis “all’andalusa”. La sponda biancorossa invece porta il nome della città, Sevilla, quella della Girada Pasodoble di Eduardo Lopez Carranz, quella che ha reso famosa l’Andalusia.
E nell’ultimo decennio nella Siviglia del calcio comanda la parte biancorossa, squadra della “dittatura dell’Europa League”, squadra dell’innovazione calcistica e simbolo della vittoria vera del calcio contro i petroldollari. Il Siviglia di Unai Emery è una squadra che ha saputo vincere, smembrarsi, ricomporsi e vincere di nuovo; una squadra che il calcio ce l’ha nel DNA e che vive sostenuta dalla passione dei suoi tifosi.
Già, perché il tifo del Siviglia è uno dei più accesi della Spagna assieme a quello dei cugini rivali del Betis, caldo come quella parte di Spagna dove il sole sembra non andarsene mai. “Vamos mi Sevilla, vamos campeon” è il coro ricorrente, assordante e quasi nauseante che si sente ad ogni gol dei nervionenses (squadra del “Barrio” di Nervion”), poche note che servono a trascinare una squadra solita ad andare a ritmo coi propri tifosi.
Dopo i fasti dell’anno scorso in cui è arrivato il record assoluto di vittorie in Coppa UEFA/Europa League e la finale di Supercoppa Europea persa solamente ai supplementari contro il Barcellona dei record, il Siviglia ha avuto un avvio di stagione troppo simile a quello della Juventus: in campionato una vittoria (arrivata peraltro solamente nell’ultimo turno), due pareggi e già tre sconfitte mentre in Champions l’avventura è cominciata con un successo travolgente che riflette l’anima “copera” di questa squadra. “Andaluses levantaos” grida l’inno ufficiale dell’Andalusia che adesso rintona anche nelle orecchie dei giocatori sevellistas obbligati a reagire per risollevare questa squadra.
Due cammini paralleli per due squadre totalmente differenti come filosofia di calcio: il Siviglia è una squadra che riflette lo spirito e la grinta del proprio allenatore, Unai Emery, uno che la gavetta l’ha fatta e che durante la partita segue i suoi con ossessive indicazioni tecniche.
Gli undici in campo sono schierati con maniacale ricerca e copertura dello spazio: in fase offensiva si cerca l’ampiezza con gli esterni alti e bassi più la profondità col centravanti di riferimento; in fase difensiva invece ogni uomo è schierato per bloccare una linea di passaggio e creare la superiorità numerica è seriamente complicato. Uomo chiave di questa squadra il polacco Krychowiak, ragazzo che da bambino il calcio neanche lo seguiva e che ha dato i primi calci al pallone solo per far compagnia al fratello: adesso è il mediano perno della squadra regina di coppe, perfetto in fase difensiva grazie all’ottima intelligenza tattica e ad un fisico imponente; utilissimo quando c’è da impostare con le sue verticalizzazioni.
Un anno e mezzo dopo il Siviglia torna a Torino, stavolta per affrontare la Juventus. L’unico ricordo allo Juventus Stadium è il successo in finale contro il Benfica “maledetto” da Bela Guttman che ha portato l’Europa League 2013/14 nella bacheca del Sanchez Pizjuan. Quella partita l’avrebbe voluta giocare la Juventus che però salutò la coppa al turno precedente e solamente domani avrà l’occasione per avere il faccia a faccia col Siviglia.
Storia e tradizione, calcio e passione, gli ingredienti giusti per uno Juventus-Siviglia che già vale tantissimo per la stagione di queste due nobildonne del calcio pronte a riprendersi la scena.

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