Un vecchio adagio cinese ripeteva “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”; questa frase meglio che qualunque altra sintetizza l’essenza di Massimiliano Allegri sulla panchina della Juventus.
L’allenatore toscano da quando allena i bianconeri è stato prima linciato dalla tifoseria per la sola colpa di essere il sostituto di Conte, poi snobbato anche quando ha vinto, e tanto, perché meritevole per molti soltanto di aver preso una squadra costruita da un altro ed averla condotta senza stravolgerne troppo il gioco, in ultimo messo alla graticola quando, dopo una stagione straordinaria, non è riuscito a ripartire col piede giusto nel nuovo campionato. Allegri incassa, talvolta in silenzio, altre volte con il sarcasmo da livornese, senza mai esagerare nei toni, senza mai dire una parola fuori posto o contro la società. Non ha detto nulla quando in pochi giorni gli sono stati tolti tre cardini come Tevez, Vidal e Pirlo, non ha fiatato quando il trequartista promesso non è arrivato, non ha trovato alibi quando è stato fischiato nonostante avesse riportato la Juve pochi mesi prima a giocarsi una finale di Champions insperata.
Max l’aziendalista ha continuato a lavorare, a chiedere calma per una squadra che per forza di cose aveva bisogno di tempo per trovare la giusta malgama, ad accettare alti e bassi di ragazzi che forse solo adesso stanno iniziando a conoscersi. Max il colpevole di tutti i problemi della Juve, quello che anche quando batte il Manchester City fuori casa e batte con una prova maiuscola il Siviglia, riceve sui social network sfottò e inviti ad andarsene, che prende su di sé i fischi ai suoi ragazzi, come Mourinho ma senza sembrare un martire. La vittoria di ieri sera forse sarà una svolta per la stagione, forse semplicemente è un piccolo tassello costruito per una qualificazione vista come obiettivo minimo, ma è soprattutto la vittoria della pacatezza e della pazienza di Allegri, l’uomo comune.
Quello che non litiga con i giornalisti, non vuole essere un condottiero, che non attira su di sé i riflettori dopo una grande vittoria, che lascia i giusti meriti ai suoi giocatori e vive la panchina come una missione più che come un palco da protagonista. Non è un caso se Conte stravinceva i campionati, ed Allegri in poco più di una stagione ha fatto meglio in coppa di quanto il collega leccese avesse fatto nei tre precedenti tentativi; quella di Conte è la vittoria della rabbia, dell’irrequietezza, tanto bella quanto fugace che ogni domenica ti fa schiacciare le piccole con una fame di vittoria a tratti spaventosa, quella di Allegri è la vittoria della pacatezza, e non è poco in un calcio che sta riscoprendo che non serve essere superstar per fare qualcosa di splendido.

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Di Roberto Accurso